18 Ottobre 2024

Notizie dal mondo del lavoro, previdenza e fisco

Il Decreto flussi punta alle famiglie italiane

Perché le quote extra per collaboratori familiari rappresentano una misura parziale

Negli ultimi anni, è diventato sempre più comune leggere sulle varie piattaforme social – in particolare su Facebook – annunci pubblicati da famiglie in cerca di una figura per il supporto sociosanitario e familiare. Questo fenomeno, seppur informale, riflette un bisogno primario di assistenza a domicilio.

Nelle pagine locali e nei gruppi dedicati si registrano richieste a cadenza giornaliera, quest’ultime sono corredate di specifiche informazioni quali: la retribuzione, la tipologia di contratto, l’orario e le prestazioni richieste.  

Decreto flussi 2025: quote extra per collaboratori familiari

La recente approvazione, avvenuta all’inizio del mese corrente, da parte del Consiglio dei ministri del decreto flussi sembra tenere presente questa esigenza. Per il 2025 si prevedono, infatti, 10mila visti d’ingresso aggiuntivi a lavoratrici e lavoratori non comunitari per l’assistenza e la cura di persone con invalidità e anziani sufficienti o autosufficienti.

Tale misura, secondo l’associazione Assindatcolf (l’Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico), potrebbe rappresentare un primo tentativo di rispondere al reale fabbisogno del paese.  

Una panoramica sul settore della cura

Dal punto di vista della domanda, il terzo Paper del Rapporto 2024 Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico ha calcolato che il numero di collaboratrici e collaboratori familiari richiesto ammonti a «circa 1 milione e 25mila, un dato composto da circa 713mila straniere e 312mila italiane».

Dal punto di vista dell’offerta, invece, il numero di figure disponibili per l’assistenza varia da regione a regione e registra i seguenti dati: «al primo posto si posiziona la Lombardia con 141mila lavoratori, seguono al secondo posto la Campania (98mila), al terzo la Sicilia (97mila), al quarto il Lazio (93mila) e al quinto la Puglia (86mila)».  

Tuttavia, nel contesto quantitativo appena delineato, l’aumento dei flussi di ingresso rappresenta una soluzione parziale. Secondo lo stesso rapporto le domande di assistenza avrebbero subito una riduzione: se nel 2011 erano 2,6 milioni le famiglie che assumevano collaboratori domestici, nel 2022 il numero è calato a 1,9 milioni, rappresentando così il 7,4% del totale. 

Una spiegazione di questo calo è data dalla difficoltà delle famiglie di sostenere i costi: «i nuclei che si avvalgono dei servizi forniti da una badante affrontano ogni mese un costo superiore al 50% del reddito mensile». Di conseguenza, quest’ultime si vedono costrette a ricorrere al lavoro nero, non riuscendo a sostenere i costi elevati legati all’assunzione regolare.

Già nel 2019 i dati Istat segnalavano che quello della collaborazione domestica in Italia era il settore più afflitto dal lavoro informale, pari al 60 per cento sul totale. Inoltre, a distanza di pochi anni, le multe per i datori di lavoro che impiegano personale in nero rischiano sanzioni fino a 50.000 euro.

I costi e la salute 

Una storia paradigmatica – segnalata dal patronato Acli di Bologna – è quella di Massimo, il quale non riuscendo a coprire i costi di una figura assistenza full time per la madre affetta da Alzheimer ha valutato la possibilità di vendere la casa dei genitori per rivolgersi a una Casa di riposo.

Eppure, i risultati dell’indagine della Liuc Business School confermano un quadro di difficoltà economiche su più versanti: il costo medio delle Rsa e delle Case di riposo, seppur variabile da regione a regione, è di 1.700 euro al mese per le prime e 1.500 per le seconde.

Insomma, un onere economico insostenibile sia per le famiglie a basso reddito sia per quelle del ceto medio. Ciò produce non solo l’aumento del lavoro sommerso, ma costringe cittadine e cittadini a invecchiare senza assistenza e cure adeguate. 

Si vive più a lungo ma si è malati, e quindi c’è bisogno di assistenza.  Ma in quanti se la possono permettere?

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